L’importanza di chiamarsi Ernest
“L’importanza di chiamarsi Ernest”
di Oscar Wilde
Commedia frivola per gente seria
Tre tempi
“The Importance of Being Earnest” fin dal titolo svela l’essenza più profonda del proprio messaggio, ossia niente è come sembra. Nella lingua inglese la pronuncia del nome proprio Ernest (il protagonista della commedia) e dell’aggettivo Earnest (cioè “onesto, affidabile”) è la medesima. Un nome quindi (meglio ancora se di casato nobiliare) si porta appresso anche una qualità, al di là dei comportamenti reali della persona, spesso contraddittori. Ed è proprio contro il perbenismo e il puritanesimo di facciata dell’alta società britannica vittoriana che Oscar Wilde si scaglia, con il consueto pungente sarcasmo.
Ma questa commedia è anche altro. È la ricerca affannosa di tutti i personaggi di scoprire qualcosa di se stessi, qualcosa che è loro ignoto o che è stato loro nascosto per anni. È il tentativo di completarsi, di trovare un modo di “essere” finalmente qualcuno e non soltanto di “sembrarlo”. Ecco perché i personaggi stessi non sono e non si sentono ancora definiti, vivono la sensazione di essere perennemente solo imbastiti, con finiture mancanti, come un abito ancora in lavorazione.
Ecco perché si rifugiano sempre a immaginare un’altra vita, magari letteraria. Ecco perché armeggiano di continuo con libri o diari o breviari, perché scrivono e leggono febbrilmente, quasi che potessero vivere solo quanto riesce loro di fermare sulla carta. È un mondo letterario, artefatto, da sfogliare pagina dopo pagina per crederlo vero, reale. Come la scenografia dove si muovono, fatta di volumi, di libri aperti, di carta e inchiostro.
Un mondo che la caustica divertita ironia di Oscar Wilde ha trasformato in un capolavoro del teatro.
Regia: Andrea Trangoni
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